Simone Mattiola
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
La linguistica è una scienza che basa le proprie analisi sull’osservazione di dati empirici e, pertanto, la trasparenza dei dati e delle analisi stesse e la loro replicabilità sono un punto centrale per la disciplina. Avere i dati a disposizione è uno degli aspetti più importanti perché permette di supportare la solidità e la rigorosità del lavoro dei linguisti. Come in ogni disciplina scientifica, quindi, la centralità del dato è fondamentale. Allo stesso tempo, però, approcciare i dati delle lingue del mondo non è un compito semplice. Infatti, è abbastanza comune per i linguisti trovarsi ad affrontare strutture grammaticali di lingue di cui non si ha una conoscenza diretta, né dal punto di vista strutturale né tantomeno come parlanti o apprendenti. Questa situazione è sicuramente all’ordine del giorno soprattutto per quelle branche della linguistica che si occupano più direttamente di variazione interlinguistica e di linguistica comparativa, su tutte, quindi, la linguistica tipologica e la linguistica storica. In questi casi, è ovvio che non è possibile conoscere tutte le lingue (anche dell’ordine di centinaia) necessarie per lo studio. Inoltre, la sola traduzione (ad esempio in inglese), per quanto essenziale, non può essere sufficiente per l’analisi di fenomeni linguistici. Lo strumento che i linguisti comparativi utilizzano per comprendere le strutture linguistiche di lingue non note sono le cosiddette glosse interlineari. Già dalla seconda metà dell’‘800 alcuni linguisti illustri (come von Humboldt e Gabelentz), per affrontare lo studio di lingue geograficamente e strutturalmente lontane dalle nostre, hanno iniziato a proporre traduzioni sempre più letterali oltre a quelle libere. Tuttavia, è a partire da qualche decennio successivo, tra fine ‘800 e inizio ‘900, che le glosse entrano sempre più sistematicamente nelle pubblicazioni scientifiche, basti pensare ai lavori linguistici e antropologici di Franz Boas e dei suoi allievi che miravano a descrivere le lingue e le culture delle popolazioni native del Nord America. Facendo un esempio, si osservi come Boas (1902: 17) riporta una frase della lingua nisga’a (lingua tsimshian della Columbia Britannica):
Da questo esempio si capisce bene come le glosse interlineari non siano altro che una traduzione letterale parola per parola del testo della lingua originale che vanno a porsi tra esso e la sua traduzione libera (da qui interlineari) con l’obiettivo di fornire indicazioni più dettagliate sulla struttura grammaticale rispetto alla traduzione libera. Ad esempio, riportiamo un esempio dell’harar oromo (lingua afroasiatica), con le relative glosse grazie alle quali riusciamo a decifrare buona parte della struttura della frase stessa.
Negli anni, le glosse si sono raffinate per essere massimamente informative, dal punto di vista sia lessicale che grammaticale. Nonostante ciò, però, fino a non molto tempo fa non esisteva una prassi comune per la glossatura e questa mancanza aveva come conseguenza una proliferazione di sistemi diversi che rendevano particolarmente difficoltosa e disomogenea la loro comprensione (ogni autore adottava la propria notazione). Nei primi anni 2000, un gruppo di linguisti con sede a Lipsia (Germania) ha provato a risolvere questo problema proponendo una serie di regole alle quali la comunità di linguisti dovrebbe attenersi per uniformare il sistema di glossatura. Queste regole sono note come Leipzig Glossing Rules (LGR). Si tratta di un breve documento ad accesso libero (qui l’ultima versione) che ha come obiettivo “quello di rendere esplicite le convenzioni più diffuse” (LGR p. 1, traduzione mia). Le LGR sono da intendersi come una serie di regole generali che lasciano però agli studiosi una libertà di modifica sufficiente per adeguarsi alle specificità delle singole lingue. Questa flessibilità è probabilmente anche la ragione principale del successo e della risonanza che le LGR hanno poi avuto nel tempo (ad es. le maggiori riviste internazionali di linguistica chiedono agli autori di adottarle). Le LGR constano di 10 semplici regole che presentiamo brevemente qui di seguito (una lista delle abbreviazioni usate negli esempi è data alla fine di questo articolo, le traduzioni in italiano degli esempi sono tutte mie).
Regola 1: Allineamento parola per parola. Ogni parola nella lingua di riferimento deve essere allineata verticalmente con la relativa glossa a partire dalla sinistra, come mostrato nell’esempio (1).
Regola 2: corrispondenza morfema per morfema. I confini di morfema sono segmentati tramite trattini, sia nell’esempio sia nelle glosse ed entrambi devono contenere il medesimo numero di segmentazioni (n° morfemi = n° glosse) come in (2).
I confini di clitici sono segnalati tramite il simbolo matematico dell’uguale (‘=’, vd. (3)).
Regola 3: etichette per categorie grammaticali. I morfemi grammaticali sono solitamente resi tramite un’abbreviazione e in maiuscoletto, ad esempio, il valore di numero ‘plurale’ sarà reso con pl mentre ‘singolare’ con sg. Al contrario, i morfemi lessicali sono resi tramite la loro forma di citazione in minuscolo, ad esempio, la forma inglese cats sarà resa con la forma di citazione ‘gatto’ (cat-s, gatto-pl ‘gatti’). Inoltre, mentre le glosse lessicali saranno rese nella lingua del testo in cui compare l’esempio (ad es., nel caso del presente contributo l’italiano), le glosse che si riferiscono a strutture morfosintattiche saranno tendenzialmente rese dalle stesse etichette, create sulla base dell’inglese, indipendentemente dalla lingua in cui il contributo è scritto (quindi, ad esempio, si userà l’abbreviazione ADJ anche per l’italiano aggettivo).
Regola 4: corrispondenze uno-a-molti. Quando a un singolo morfema corrispondono più significati, lessicali e/o grammaticali, questi ultimi saranno separati da un punto.
Regola 5: etichette per persona e numero. Le glosse che si riferiscono alle categorie di persona e di numero sono molto spesso codificate cumulativamente e pertanto è preferibile segnalarle con il numero della persona seguito dal valore di numero senza alcun segno di interpunzione come mostrato nell’esempio.
Regola 6: elementi non marcati esplicitamente. Se nelle glosse c’è un elemento che non trova una corrispondenza formale tra i morfemi segmentati, l’etichetta può essere inserita in parentesi quadrate oppure si può utilizzare il simbolo dell’insieme vuoto come se ci fosse un elemento formale non presente (questa seconda scelta è teoricamente più problematica, vd. La discussione dei morfi zero in Thornton 2005: 69). Ad esempio, nell’esempio (7) la forma flessa puer del latino è portatrice dei valori grammaticali di caso nominativo e di numero singolare (da qui l’uso di nom.sg) anche se questi non sono marcati esplicitamente con un morfema individuabile e segmentabile. Pertanto, nelle glosse, questi due valori andranno ovviamente comunque segnalati, ma tramite una delle due strategie speciali proposte nella regola 6.
Regola 7: categorie inerenti. Per segnalare il valore di una categoria inerente (che non ha marche o forme esplicite) si utilizzano le parentesi tonde, come capita per il valore di genere 4 (g4) del nome nell’esempio che segue. Questo caso è solo apparentemente simile a quello precedente affrontato nella regola 6. Infatti, un valore inerente non esplicito non sarà segnalato dalla singola forma flessa di uno specifico lessema (come per puer in (7)), ma invece sarà proprio di qualsiasi forma flessa del lessema stesso. Quindi, in (8) noi possiamo vedere come il valore di genere 4 (g4) sia segnalato tra parentesi tonde e debba quindi essere inteso come un valore proprio di qualsiasi forma del nome xõxe ‘albero’ (e anche presente sugli elementi che accordano con esso). Questa situazione è diversa da quella dei valori di nominativo e singolare di puer in (7).
Regola 8: elementi bipartiti. Se un morfema è bipartito (cioè, si hanno due elementi non contigui che segnalano contemporaneamente lo stesso valore grammaticale), esistono due possibilità per segnalare questa situazione: (i) ripetere la glossa utilizzata per il primo segmento anche per la seconda parte del morfema, o (ii) segnalare che si tratta di un caso di bipartizione. Un esempio tipico di elemento bipartito sono i cosiddetti circonfissi, in cui un singolo morfema è composto da un prefisso e da un suffisso che appaiono contemporaneamente (non si tratta quindi di due elementi separati) e che sono entrambi portatori del significato del morfema. Un caso di circonfisso è rappresentato dalle forme participiali del tedesco, come mostrato in (9), in cui vediamo le due possibilità della loro resa nelle glosse (circ sta per circonfisso).
Regola 9: infissi. Se un morfema è un infisso (uno specifico affisso che va a inserirsi dentro la base lessicale), esso viene segnalato sia nella parola in lingua originale sia nelle glosse tramite delle parentesi uncinate.
Regola 10: reduplicazione. Il fenomeno della reduplicazione (quando una parte di o tutto un elemento linguistico viene ripetuto per codificare un qualche significato, noto anche come raddoppiamento) viene segnalato tramite l’utilizzo della tilde ‘~’ come elemento di confine di morfema.
Le glosse interlineari sono quindi uno strumento semplice ma molto potente, e sono fondamentali sia per i linguisti comparativi sia per chiunque voglia approcciare dati di lingue diverse. Infatti, grazie a queste semplici dieci regole chiunque può comprendere la strutturazione lessicale e grammaticale di una parola o frase di una qualsiasi lingua, anche senza averne una conoscenza diretta!
Per approfondire
Boas, Franz. 1902. Tsimshian Texts. (Bulletin of American Ethnology, 27.) Washington: Government Printing Office.
Fortescue, Michael. 1984. West Greenlandic. Londra: Croom Helm.
Haspelmath, Martin. 1993. A grammar of Lezgian. Berlino: Mouton de Gruyter.
LGR = Bickel, Balthasar, Bernard Comrie e Martin Haspelmath. 2015. The Leipzig Glossing Rules: Conventions for interlinear morpheme-by-morpheme glosses. https://www.eva.mpg.de/lingua/pdf/Glossing-Rules.pdf.
Owens, Jonathan. 1985. A Grammar of Harar Oromo (Northeastern Ethiopia). Amburgo: Helmut Buske.
Sneddon, James Neil. 1996. Indonesian: A comprehensive grammar. Londra: Routledge.
Thornton, Anna M. 2005. Morfologia. Roma: Carocci.
van den Berg, Helma. 1995. A Grammar of Hunzib. Monaco di Baviera: Lincom Europa.
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