Eleonora Zucchini e Nicola Grandi
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
A chi ci rivolgiamo quando abbiamo dubbi di tipo linguistico, soprattutto se non abbiamo un amico linguista (ma, se avete letto uno dei primi articoli pubblicati su Linguisticamente o se avete ascoltato la prima puntata del nostro podcast, ricorderete che i linguisti non gradiscono domande di questo tipo!)? La risposta più naturale è: agli insegnanti di italiano a scuola.
Questa idea non è poi così sbagliata: infatti, gli insegnanti di italiano hanno, tra i loro doveri, anche l’onere di correggere il modo con cui gli studenti si esprimono per iscritto e oralmente e di indicare soluzioni alternative (potremmo dire ‘corrette’). È proprio grazie a questa prerogativa che gli insegnanti sono, all’interno di una comunità, uno degli ‘agenti della norma linguistica’, cioè quelle figure che, grazie al loro prestigio e alla loro autorità, sono considerate depositarie della varietà ‘corretta’ (o, meglio, standard), di una lingua. Fra questi, oltre appunto ai docenti di scuola, abbiamo gli autori dei dizionari e delle grammatiche di riferimento di una lingua e i parlanti e gli scriventi modello, come gli autori di romanzi (o almeno di alcuni romanzi) o di testi per giornali e televisione (di nuovo, almeno alcuni di questi testi).
Tornando a noi, la scuola è pressoché l’unico luogo in cui, almeno fino alla maggiore età, i ragazzi praticano la scrittura sorvegliata e formale (e fino a pochi decenni fa era l’unico in cui si praticava la scrittura in assoluto); per numerosi anni della nostra vita, che potrebbero inoltre essere considerati gli anni più fertili per la formazione della nostra coscienza di parlanti e scriventi, il confronto con la lingua formale, ‘corretta’, è dunque monopolio della scuola. Che sia per un reale effetto del prestigio esercitato dall’insegnante, o per vedersi riconsegnare un compito in classe con un minor numero di ‘segnacci rossi’ (e quindi per evitare le ramanzine dei genitori!), è indubbio che il modo in cui gli studenti scrivono è influenzato anche dal modo in cui gli insegnanti correggono. Accade più o meno lo stesso in una partita di calcio o di basket: i giocatori si adeguano al metro dell’arbitro e, in base ad esso, decidono quali interventi fare e quali evitare. La cosa può sembrare strana: se un intervento è, da regolamento, falloso, lo è sempre, a prescindere. Eppure ci sono arbitri molto fiscali e altri che lasciano correre: una stessa scivolata, dunque, può essere sanzionata dai primi e trascurata dai secondi. A scuola la situazione non è dissimile: anche gli insegnanti hanno metri diversi e correggono gli elaborati in modo non sempre uniforme. Anche in questo caso, però, il regolamento, cioè la grammatica, non dovrebbe lasciar spazio alla variazione: eppure ci sono insegnanti intransigenti ed altri assai meno… spietati! E gli studenti, quando scrivono, ne tengono conto.
Le ricerche linguistiche si concentrano molto spesso sugli atteggiamenti dei discenti, ma assai raramente su quelli dei docenti. Eppure l’osservazione attenta del comportamento degli insegnanti di fronte alle devianze rispetto a quanto previsto dalla grammatica normativa è uno dei pochi strumenti affidabili per operare qualche previsione sui cambiamenti in atto nella lingua. L’opinione degli insegnanti nei confronti di certe strutture linguistiche è molto interessante proprio perché può aiutarci a capire quali saranno gli sviluppi futuri della lingua e a prevedere quali strutture potranno entrare nell’uso corrente. Ed è interessante anche per smentire uno dei tanti luoghi comuni che ogni tanto prendono piede: l’idea, cioè, che la lingua insegnata a scuola sia un italiano libresco e artificiale, quasi ‘fossile’, che non ha niente a che vedere con l’italiano effettivamente parlato fuori dalle mura scolastiche.
È per questo che negli ultimi anni, ci siamo occupati di approfondire questo tema, grazie a una ricerca sul campo che ha coinvolto 11 insegnanti di scuole secondarie dell’Emilia-Romagna. La ricerca si è svolta a partire dalla raccolta di testi scritti da circa 300 alunni, dai 13 ai 19 anni, durante il più tipico tra i compiti in classe di italiano: la stesura di un tema!
La scrittura degli alunni è una miniera d’oro per chi fa ricerca, perché può essere esaminata sotto numerosissimi punti di vista, che vanno, fra gli altri, dalle scelte lessicali, alla capacità di esprimersi in maniera ordinata e chiara, al mantenimento di un registro linguistico adeguato dall’inizio alla fine, e così via.
La nostra attenzione si è concentrata in particolare su alcuni fenomeni di morfosintassi, che si verificano dunque a livello della singola parola o della frase, che, secondo gli esperti, stanno subendo un cambiamento nel grado di formalità: le dislocazioni a destra e a sinistra (Ad alcune persone non gli interessa il giudizio della gente), l’uso del pronome gli al plurale (anch’esso attestato nell’esempio appena citato), l’uso di lui, lei, loro come pronomi soggetto, anche in contesti in cui il soggetto potrebbe essere omesso (Mastro don Gesualdo ha una famiglia di cui lui non si interessa), l’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo nelle frasi dipendenti (Credevo che comandare qualcuno non era tanto giusto), il che invariabile come introduttore di frase relativa (Certe volte mi capita che studio con amici le materie che abbiamo difficoltà tutti e due), ecc. (per un elenco completo si può fare riferimento, tra gli altri, a Berruto 2012[1987]). Si tratta di costruzioni che molte grammatiche scolastiche indicano come scorrette, ma che esistono in italiano da molto tempo e che, recentemente, hanno iniziato a fare capolino nella lingua parlata e scritta in contesti di media formalità, segnale che i parlanti non le percepiscono, in fondo, come così scorrette. Sono costruzioni, cioè, che caratterizzano il cosiddetto ‘neostandard’, che possono innescare giudizi diversi e non uniformi e la cui diffusione contribuisce al processo di ristandardizzazione in atto nel nostro sistema linguistico.
Analizzare i temi prodotti dagli studenti che hanno partecipato alla rilevazione ci ha permesso innanzitutto di cogliere alcuni aspetti della loro competenza linguistica, cioè, sostanzialmente, di capire cosa credono che si possa scrivere in un testo formale che sarà valutato da un adulto (e il cui voto ‘farà media’). Analizzando le correzioni che i docenti (seguendo la propria competenza linguistica) hanno apportato, abbiamo isolato i casi in cui queste due competenze divergono, cioè quando le aspettative degli studenti non corrispondono a quelle degli insegnanti: in queste situazioni gli insegnanti hanno considerato opportuno sottolineare una parola o una frase e suggerire, talvolta, un’alternativa che ritenevano più adeguata.
In termini generali si può osservare che i fenomeni tipici della ristandardizzione del sistema che più spesso troviamo nei testi prodotti dagli studenti sono anche quelli che vengono corretti meno frequentemente dagli insegnanti: un esempio tipico è l’uso di lui, lei e loro in posizione di soggetto in luogo di egli (o addirittura elli), ella e essi/esse. In questo caso, cioè, sembra esserci un allineamento tra le due competenze e possiamo ritenere, quindi, che queste forme siano del tutto acclimatate nella varietà di riferimento della nostra lingua. Invece, i fenomeni che gli insegnanti correggono in modo sistematico (e senza pietà!) sono mediamente poco presenti nei testi degli studenti. È il caso, ad esempio, del che invariabile come introduttore di frase relativa, che viene sempre sanzionato nei testi che abbiamo analizzato (occorre però precisare che in questo caso la correzione si limita spesso a un segno rosso sulla forma giudicata sbagliata, lasciando che sia lo studente a recuperare in autonomia la forma corretta; solo in una minoranza dei casi viene annotata a margine la forma corretta corrispondente). Questa costruzione, dunque, è ancora ben lontana dall’essere considerata come degna di occorrere in un testo formale e, dunque, resta confinata a varietà ‘basse’ del nostro sistema.
Ma tra questi casi limite c’è una buona quantità di fenomeni rispetto ai quali il comportamento degli insegnanti è poco uniforme, cioè che a volte vengono corretti e a volte no, talvolta addirittura dallo stesso insegnante! Si tratta, dunque, di strutture che si trovano in bilico fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e proprio in questi casi le opinioni dei docenti diventano particolarmente interessanti. Il lettore si stupirà forse di scoprire che i casi di indicativo al posto del congiuntivo non vengono corretti ‘a tappeto’ nei testi della nostra raccolta, nonostante il ‘martellamento’ mediatico sulla presunta morte del congiuntivo che quotidianamente subiamo. Infatti, meno della metà dei casi che abbiamo censito trova la disapprovazione esplicita del docente, mentre molti non vengono toccati, volutamente o per distrazione, dalla penna rossa. Ad esempio frasi come penso che si possono fare dei piccoli sacrifici, oppure tutti pensavano che la terra era al centro dell’universo, o, ancora, ho sempre pensato che tutto quello che facevo era sbagliato hanno superato indenni e immacolate il vaglio della correzione.
Questo ci mostra che c’è una certa coerenza fra gli atteggiamenti impliciti degli alunni e quelli espliciti dei docenti almeno nei casi più estremi: i tratti linguistici che suscitano fastidio in un parlante mediamente colto sono ancora abbastanza rari nei temi scolastici e vengono quasi sempre sanzionati. Ma ci sono anche molti casi intermedi in cui la situazione è molto più sfumata e propri in questa area si concentrano maggiormente i dubbi che abbiamo ogni giorno quando usiamo la nostra lingua. La scuola non è quindi del tutto impermeabile ai cambiamenti della lingua: la lingua che si scrive a scuola, o almeno nelle scuole della nostra ricerca, non è più l’italiano ‘scolastico’ modellato unicamente sui testi degli autori della letteratura, ma accoglie volentieri innovazioni che si sono diffuse già da tempo, pur rimanendo poco ricettiva nei confronti di strutture ancora difficilmente accettabili nella lingua sorvegliata. E anche gli insegnanti, spesso e più o meno consapevolmente, correggono seguendo la loro competenza, più che il dettato delle grammatiche. Questo in realtà non deve sorprenderci più di tanto ed è, tutto sommato, un buon segno. Scegliere quali forme usare in italiano (e non solo) è una questione complessa che è soggetta a numerosissimi fattori linguistici e sociali. E nonostante le grammatiche enuncino spesso regole categoriche e diano giudizi drastici, nella realtà dei fatti è spesso difficile decidere quali forme usare e quali no, perché i confini, nell’uso, sono sempre sfumati e tutto diventa relativo. Che gli insegnanti non seguano alla cieca le grammatiche nella correzione dei compiti e che diano voce anche alla loro competenza di parlanti nativi è un segnale della loro saggezza. E induce a sperare che la scuola, prima o poi, possa concedere in modo ufficiale pieno diritto di cittadinanza a ciò che rappresenta la vera ‘anima’ delle lingue, la variazione, facendone oggetto di riflessione metalinguistica consapevole (in piena coerenza con le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica del GISCEL).
Per approfondire
Berruto, G. (2012 [1987]), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Carocci.
Grandi N. e Zucchini E. (2022), Tratti neostandard nella scrittura formale giovanile. Un’indagine sulle scuole secondarie di Bologna, Rassegna Italiana di Linguistica Applicata – RILA, pp. 121 – 138.
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