Elisa Bianchi
Consorzio Interuniversitario ICoN
Sanremo “venti-ventiquattro” del quinto Amadeus: un enorme (e lunghissimo) carosello di vecchi talenti e giovani figli dei talent, le cui canzoni (trenta!) presentano temi che poco si discostano dalla tradizione sanremese.
Al solito, su tutti vince l’amore: la fine di un amore, l’amore tossico, l’amore che con “Il Volo” (!) cade dal cielo, l’amore che fa soffrire o che spinge a ricominciare tutto.
Pochi sono gli artisti che affrontano temi più complessi e impegnati: Dargen D’Amico con un testo, Onda alta, sul viaggio disperato degli immigrati (a pochi mesi di distanza dal capolavoro di Garrone, Io capitano, del 2023); con Casa mia, Ghali intavola un dialogo con un extraterrestre sui piccoli (ma soprattutto grandi) problemi del nostro pianeta, guardato da lontano, da una prospettiva in cui “casa mia è uguale a casa tua”; Fiorella Mannoia, con un bel manifesto sul potere gioioso delle donne di ogni epoca e di ogni latitudine.
I colorati BNKR 44, con l’originale Governo Punk, scelgono come tema la provincia italiana e la voglia di scappare.
Infine, il brano vincitore, La noia di Angelina Mango, propone una riflessione esistenziale sull’incapacità di stare fermi e l’insofferenza che ne deriva, con un’esaltazione della noia al ritmo di cumbia.
Guardando da vicino i testi e il modo in cui sono trattati i temi, salta innanzitutto agli occhi la frequenza di metafore e immagini esplicite relative all’ambito delle armi e della guerra, soprattutto per descrivere l’amore:
Le tue pupille sembrano pallottole (Il tre)
Per me l’amore è come un proiettile (Rose Villain)
Questo amore è una sparatoria/Con le tue armi puntate verso di me/Sparami adesso sparami ora (Fred de Palma)
Lo sai che sei un proiettile nel cuore però avevo il giubbotto (The Kolors)
Da notare che Fred de Palma prende in prestito da La guerra di Piero di De André, modificando il pronome e trasferendola dall’ambito bellico a quello amoroso, la citazione “Sparami adesso sparami ora”.
In Ghali, invece, la sparatoria è funzionale alla restituzione di un’atmosfera urbana degradata “Adesso c’è una sparatoria/Baby scappa via dal dancefloor”, mentre i BNKR 44 ricorrono a una pistola come accessorio di bellezza con “Ti pettini i capelli con una calibro 9”.
Un altro tema trasversale che spicca è il disagio psicologico, che può sfociare nell’(auto)lesionismo:
Non mi sogno di tagliarmi le vene (Annalisa)
Tagliami il cuore se vuoi con un paio di forbici (Emma)
L’amore spacca il cuore a metà
Ti lascia in coma dentro il solito bar
Pieni di rimpianti fino all’overdose (Fred de Palma)
I La Sad portano Autodistruttivo (con un testo scritto insieme a Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari) e, con una vocalità assolutamente fonosimbolica, cantano “E vomito anche l’anima”, per continuare con “Affogo in una lacrima perché il mio destino è autodistruttivo/E prendo a pugni lo specchio io non ci riesco a cambiare chi vedo riflesso”.
Sangiovanni invece canta, in totale onestà, “Non riesco più a gestirmi/Io non so come si controllano le emozioni/Perciò delle volte ho fatto un po’ il coglione”.
La pazzia dà il titolo a ben due canzoni: Pazzo di te di Renga e Nek e Pazza di Loredana Berté: in quest’ultima canzone, essa diventa motivo di orgoglio e una rivendicazione dell’amor proprio in salsa rock:
E se in giro è tutto un manicomio
Io sono la più pazza che c’è, che c’è
Io sono pazza di me, di me
E voglio gridarlo ancora
Comunque, armi, disagio e autolesionismo a parte, la vera novità di questo Sanremo (considerando il quinquennio della conduzione di Amadeus) non è nei temi, bensì nell’ingresso prepotente e rivoluzionario del dialetto in salsa rap: I p’me tu p’te del giovane rapper Geolier è una canzone che, tranne un verso e mezzo, è interamente scritta in napoletano, tra l’altro, con una trascrizione del testo molto criticata, che lo rende pressoché incomprensibile; Geolier ha dichiarato di aver usato il “napoletano dei rioni, quello che la gente respira, quello che i ragazzi dedicano alle ragazzine e viceversa. Non potrei parlarlo in un altro modo, io l’ho imparato dalla strada» (https://ilmanifesto.it/geolier-il-mio-napoletano-e-quello-dei-rioni). Roberto Saviano, in un recente video su Fanpage, parla di Geolier come di un ragazzo che “incarna la realtà” e che usa una lingua autentica, vera, non “anestetizzata” (https://www.fanpage.it/napoli/la-lingua-di-geolier-spiegata-da-roberto-saviano-il-napoletano-e-vero-per-questo-e-usato-in-musica/).
In questa lingua, incomprensibile ai più, al pari di un testo rap in inglese, Geolier riflette su un amore destinato a concludersi, ma che esercita ancora un potere magnetico addirittura sul tempo atmosferico:
O ciel’ c’ sta guardann’, quann’ chiov’ è pcchè s’é dispiaciut’ p’ mme, e p’ tté
Piccio mo sta iniziann a chiovr
Simm duij estranei ca s’incontrano
Il testo è tutto costruito sulla doppia interpretazione della frase nominale che dà il titolo alla canzone: I p’ me tu p’te può significare sia “Io (vivo) per te, tu (vivi) per me”, sia “Io per conto mio, tu per conto tuo”, cioè “separati”.
In realtà, il Festival di Sanremo non è nuovo al dialetto nelle canzoni, al veneziano dei Pitura Freska (Papa nero, 1997), al napoletano di Nino d’Angelo (Senza Giacca e cravatta, 1999, Jammo jà, 2002, Marì, 2010), al sardo dei Tazenda con Pierangelo Bertoli (Spunta la luna dal monte, 1991) e al comasco di Van des Froos (Yanez, 2010).
Geolier continua (rinnovandola) questa tradizione, ma la sua presenza costituisce comunque una novità nel Festival di Amadeus, che per ammetterlo, ha dovuto stabilire una deroga al regolamento che, disponibile sul sito ufficiale del Festival (www.sanremo.rai.it), recita:
“il testo delle canzoni in gara dovrà essere in lingua italiana. Si considera in lingua italiana anche il testo che contenga parole e/o locuzioni e/o brevi frasi in lingua dialettale e/o straniera (o di neo-idiomi o locuzioni verbali non aventi alcun significato letterale/linguistico), purché tali da non snaturarne il complessivo carattere italiano, sulla base delle valutazioni artistiche/editoriali del Direttore Artistico.”
Spostiamoci sui testi in italiano. Quale italiano troviamo?
Per quanto riguarda lessico e sintassi, la maggior parte dei testi è costruita con il Vocabolario di Base, ed è caratterizzata da una grande linearità sintattica. Domina la frase semplice, non si va oltre il primo grado di subordinazione (frasi relative, temporali, al massimo delle comparative ipotetiche) e molti casi di giustapposizione asindetica delle frasi, con una sintassi quindi al servizio delle esigenze del verso e della metrica musicale.
Un lessico e una sintassi quindi ‘semplice’, omogenea, con versi che sfiorano la banalità e la piattezza, come nel testo intelligentemente artificiale dei Kolors:
Un ragazzo
Incontra una ragazza
La notte poi non passa
La notte se ne va
Un ragazzo
Incontra una ragazza
Le labbra sulle labbra
Poi che succederà
Che sia questo lo “stupido testo” citato nella canzone dei Negramaro?
Una medietà linguistica che ha al proprio servizio la classica rima:
prendo la borsa – esco di corsa (Amoroso)
scoprire – dormire – capire (Bigmama)
Da segnalare ben due rime create con numerali:
Perché in giro non c’è niente di che – In provincia la nebbia è la stessa dal 2003 (BNKR 44)
I suoi caffè – Caramelle anti-panico – Alle 2:43 (Amoroso)
Originali e cariche di significato una rima di Dargen d’Amico e una di Mahmood:
Navigando navigando verso Malta – Senza aver nuotato mai nell’acqua alta (Dargen d’Amico)
Ricorderò i gilet neri pieni di zucchero – Cambio numero (Mahmood)
Molte le rime imperfette e le assonanze:
Coi pugni stretti e i pensieri fragili, guardati adesso – Crollavi sempre anche con basi stabili, ma ora detesto (Big Mama)
fake – rave, jeans – jeep (Mahmood)
cassetto – mai fatto (Negramaro)
Notevole l’inversione degli elementi della locuzione “mordi e fuggi” per creare l’assonanza tra mordi – togli, nella canzone Ma non tutta la vita dei Ricchi e poveri:
È tutto un fuggi e mordi, un metti e dopo togli
Nel pieno rispetto della tradizione sanremese, troviamo in qua e in là i soliti disfemismi, che rispondono a diverse finalità espressive (esprimere una certa immediatezza, un’affermazione fatta senza filtri, un linguaggio giovane):
Figlio di puttana (Dargen d’Amico)
Sono sempre la ragazza – che per poco già s’incazza (Berté)
Fottendomi la testa in un night
A stare nel quartiere serve fottuta personalità (Mahmood)
Con ‘sta nostalgia del cazzo/Io non so come si controllano le emozioni/Perciò delle volte ho fatto un po’ il coglione (Sangiovanni)
E chi se ne fotte di tutti quei sogni,/Di una canzone o uno stupido testo?! (Negramaro)
Naturalmente, non mancano i forestierismi, principalmente l’inglese, usato anche con funzione espressiva, con accostamenti originali:
A Budapest ti ricorderai
Dei giorni in tenda quella moonlight
Fumando fino all’alba
Fottendomi la testa in un night
Soffrire può sembrare un po’ fake
Se curi le tue lacrime ad un rave
Maglia bianca, oro sui denti, blue jeans
Non paragonarmi a una bitch così
Non era abbastanza noi soli sulla jeep (Mahmood)
Business parli di business
Intanto chiudo gli occhi per firmare i contratti
Princess ti chiama princess
Allora adesso smettila di lavare i piatti
Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa
(Angelina Mango)
Baby scappa via dal dancefloor (Ghali)
E comprerei per te la luna se c’avessi money (The Kolors)
Da segnalare anche gli ispanismi “cumbia” (Angelina Mango) e “Mariposa”, titolo della canzone di Fiorella Mannoia.
In questo Sanremo imperversano inoltre le similitudini, che creano immagini talvolta interessanti, talvolta di una banalità sconcertante, fino ad arrivare a “come le comete” di Mr. Rain:
Col cuore che ho spremuto come un dentifricio (Berté)
E siamo fragili/Come la neve/Come due crepe/Sei come un’isola ah
Sei come le fiamme bruciano nell’inferno/Adesso mi sento come un naufrago in mare aperto (Il Tre)
Cadi dal cielo come un capolavoro/Io che mi sentivo perso come un fiore nel deserto
(Il volo)
È come l’aria del Sahara/Mi raccontavi storie di gente senza dire mai il nome nome nome
Come l’amico tuo in prigione (Mahmood)
Hai imparato a cadere con stile/ Come fanno i campioni di muay thai/Come l’amore il primo giorno d’estate/Come i dischi belli che non scordi più/Come l’istante che ti cambia per sempre (Maninni)
Anche se dura un secondo come le comete/Sospesi in aria come due altalene
abbiamo unito i nostri lividi come due oceani indivisibili (Mr Rain)
Rari come pietre preziose sono i giochi di parole, a partire da Amore in bocca, dei Santi Francesi, che sviluppano il gioco richiamando “l’amaro” della locuzione originaria pochi versi dopo
Mi hai lasciato con l’amore in bocca
[…]
Ma l’amaro torna
Un altro gioco di parole originale lo troviamo in quello che, forse, è il testo più interessante di questa edizione, La noia di Angelina Mango:
La mia collana non ha perle di saggezza
A me hanno dato le perline colorate
Per le bimbe incasinate con i traumi
Da snodare piano piano con l’età (Angelina Mango)
Sempre in La noia troviamo forse l’unica incursione nella sintassi della lingua parlata, con un verso che richiama il discorso diretto: “Eppure sto una pasqua guarda zero drammi”
Pazzo di te di Renga e Nek è costruito su un susseguirsi di rime e assonanze con parole sdrucciole:
stupido – piangere – uccidere – inutile – irresponsabile – dartene – giudice – indistruttibile – fragile – semplice – ingovernabile – indispensabile
Diciamo che il gioco è sfuggito di mano, perché siamo ancora qui a interrogarci sul criptico
Amarsi è semplice
Ma ingovernabile (?)
Indispensabile
Un’ultima caratteristica dei testi di questo Sanremo si collega con un elemento trasversale, che salta agli occhi (ops, alle orecchie) al primo ascolto: la ripetizione (ossessiva), funzionale alla creazione di ritornelli (o parti di essi) immediatamente riconoscibili.
Con una spiccata predilezione per ritmi veloci, spesso con basi disco o trap, Sanremo venti-ventiquattro è innanzitutto un catalogo di aspiranti tormentoni radiofonici (scelti forse proprio per questo), che fanno a gara per impiantarsi nel cervello degli ascoltatori per resistere fino all’estate, quando dagli altoparlanti degli stabilimenti balneari si sovrapporranno per fondersi in un’unica, ossessiva, ritmica melodia. Dopo un giorno, tutti riusciamo a ricordare il ritmo latino della straordinaria Angelina Mango, o il ritornello di Mahmood, o ancora le ormai parodistiche vocali di Annalisa:
la noia, la noia, la noia, la noia total (Angelina Mango)
cadere cadere cadere cadere giù (Alessandra Amoroso)
Sinceramente quando quando quando quando piango (Annalisa)
Perché perché perché perché ogni tanto è giusto stare anche così
Con il terrore sai di perdersi
E questa vita non impara mai
Ma domani domani domani potremmo anche ridere (Gazelle)
I p’me tu p’te è ripetuto di seguito ben 8 volte, su un ritmo rap ovviamente molto scandito.
Ahia ia ia ia ia iai
Ahia ia ia ia ia iai
Mi chiamano con tutti i nomi
Tutti quelli che mi hanno dato
E nel profondo sono libera, orgogliosa e canto (Fiorella Mannoia)
Oltre alla ripetizione, un ultimo espediente per raggiungere l’immediata riconoscibilità è l’onomatopea e il fonosimbolismo, che ritroviamo in Click boom di Rose Villain: in un ritornello disco totalmente scollegato dalle strofe, sia nel testo che nella musica (un bel “collage musicale”), Rose Villain ci sblocca il ricordo infantile de La macchina del capo ha un buco nella gomma e canta:
Ricordo ancora il
Suono click boom boom boom
Senti il mio cuore fa cosi boom boom boom
Corro da te sopra la mia vroom vroom vroom
Prendi la mira baby click boom boom boom
Come dimenticarla, anche se volessimo?
Con il suo quinto (ultimo?) Sanremo e le sue trenta canzoni, Amadeus ha accompagnato vecchi e giovani nel regno della musica digitale e social, dove, più che la profondità, la complessità e (diciamocelo) la qualità dei testi, contano i numeri degli streaming sulle piattaforme (usati non a caso anche come elementi per presentare i vari cantanti) e la presenza di brevi frammenti ritmici destinati a essere immediatamente riconoscibili e a durare fino all’estate. Dalle canzonette ai tormentoni insomma.
Immagine da www.rai.it
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Per approfondire
Antonelli, Giuseppe. 2010. Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato, Bologna: Il Mulino.
Coveri, Lorenzo. 2012. L’italiano e le canzoni Sito web dell’Accademia della Crusca – gennaio 2012 [https://accademiadellacrusca.it/sites/www.accademiadellacrusca.it/files/articoli/2012/01/27/articolo_coveri_canzoni.pdf, consultato il 12 febbraio 2024]
Tomatis, Jacopo. 2019. Storia culturale della canzone italiana, Milano: Il Saggiatore.
3 Commenti
Flavia Cubeddu 17 Febbraio, 2024
Articolo molto originale e chiaro. E’ sempre interessante la riflessione sull’utilizzo della lingua in situazioni diverse dalla conversazione o dalla scrittura. Brava Elisa, non ti smentisci mai!
Diego 25 Aprile, 2024
In una pagina web che si chiama “Linguisticamente” mi sarei aspettato qualche commento sull’usanza recente e malsana di chiamare gli anni nel modo anglosassone, ad esempio “venti ventiquattro” invece di 2024 (pronunciato in italiano duemilaventiquattro).
Una usanza a mio parere recentissima, inaugurata probabilmente proprio da Amadeus qualche Sanremo fa, e poi adottata pappagallescamente da altri conduttori e conduttrici della TV e della Radio. E che qui vedo addirittura riprodotta a parole nel titolo dell’articolo, “venti ventiquattro”, cosa assurda pure in inglese.
Roba da brividi di ribrezzo… linguisticamente 🙂
Elisa Bianchi 07 Maggio, 2024
Buongiorno Diego,
confermo che la pronuncia del numerale 2024 come “venti ventiquattro” è un’usanza recentissima, anche io credo inaugurata da Amadeus.
Quella dell’articolo è una citazione (ironica), che effettivamente avrei potuto segnalare con le virgolette, per scongiurare gli inevitabili brividi di ribrezzo. 🙂
Grazie per il commento!
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