Pierangela Diadori
Università per Stranieri di Siena
Parlare oggi di ‘grande schermo’ può sembrare anacronistico, visto che il cinema ormai non si proietta più (solo) nelle grandi sale cinematografiche, ma raggiunge i suoi milioni di destinatari per molte altre vie: dalla televisione, al PC, al cellulare. In questo breve articolo ci riferiamo alla produzione cinematografica in lingua italiana dal 1930 (anno di uscita de La canzone dell’amore, primo film sonoro in italiano) ai nostri giorni: 90 anni di testimonianze sonore e audiovisive che ci permettono di delineare una storia linguistica dell’italiano cinematografico.
Intorno alla metà dell’800, a partire dall’Unità d’Italia, inizia la fase di rapida evoluzione dell’italiano che comincia ad affrancarsi da circa 700 anni di uso come strumento di scrittura in ambito letterario e scientifico (da Dante a Galileo a Manzoni e oltre) per diventare la lingua di ogni scambio comunicativo dell’oralità, nei contesti più vari, formali e informali. Questa trasformazione, avvenuta in tempi relativamente rapidi rispetto allo stesso percorso vissuto da altre lingue come l’inglese e il francese, può essere osservata in maniera evidente nei film di produzione italiana, dalle origini a oggi. Si tratta di una trasformazione complessa, in cui entrano in gioco le diverse varietà linguistiche che caratterizzano il repertorio dei parlanti, un repertorio fatto di varietà geografiche (i dialetti, le varietà regionali dell’italiano), varietà sociali (l’italiano colto e quello popolare, i gerghi, le varietà giovanili) e varietà situazionali (l’italiano formale e informale, i linguaggi settoriali), un repertorio in cui l’italiano standard, che i parlanti raramente parlano, è invece ampiamente presente, così come nel doppiaggio. E infatti il cinema nasce parlando proprio quell’italiano scritto letterario, con una connotazione teatrale, che sembra migrare direttamente dalla letteratura allo schermo, quasi che i primi dialoghi del cinema sonoro fossero delle letture di testi sul tipo di quelli delle didascalie del cinema muto:
Enrico: Dunque… è avvenuto qualche cosa di nuovo nella tua esistenza!… un altro amore?
Lucia: Sì (…) Un altro amore che occupa tutta la mia vita. Tu non puoi comprendere!
(da La canzone dell’amore, 1930)
Fra il 1930 e il 1945 il cinema italiano segue le sorti della politica, con la nascita delle prime esperienze di doppiaggio per permettere l’arrivo di film da oltreoceano (nel rispetto delle indicazioni fasciste contro l’importazione di prodotti stranieri) e con la presentazione di storie edulcorate e lontane dalla difficile realtà quotidiana (nel filone dei ‘telefoni bianchi’). Anche i dialetti – che tanta parte avevano nella comunicazione quotidiana dell’epoca – appaiono solo raramente sullo schermo, a causa della politica nazionalista e unitaria di Mussolini. Fa eccezione il film 1860 di Alessandro Blasetti, del 1934, che porta in scena il plurilinguismo dialettale del paese alla vigilia dell’unità d’Italia.
Fra il 1945 e il 1960 si assiste a una vera e propria esplosione di creatività cinematografica: la fine della Seconda Guerra mondiale fa emergere la voglia di rappresentare la realtà vera in tutte le sue sfaccettature, anche linguistiche, che trovano nel neorealismo la vena espressiva più potente. Non solo i dialetti e le lingue delle forze militari di occupazione, ma anche la voce del popolo, con i suoi registri informali e colloquiali, fanno da sfondo a molti dei film più famosi della storia del cinema italiano (Paisà, Roma città aperta, Sciuscià, Ladri di biciclette, solo per citarne alcuni dell’immediato dopoguerra):
Joe: Maria? You Maria? What’s your name? Maria?
Maria: Ma che dice chistu?
(da Paisà, 1946)
Le varietà regionali dell’italiano cominciano a affermarsi come ricca fonte di rappresentazione della realtà, sempre però affiancati all’italiano standard. Questo rappresenta il vero collante della produzione cinematografica nazionale, distante dagli usi reali ma comunque via via meno teatrale anche per l’emergere di attori della nuova generazione postbellica.
Il periodo fra il 1960 e il 1975 mostra la maturità artistica e linguistica del cinema italiano: da una parte l’italiano che viene proposto dal grande schermo si libera dagli influssi letterari pur rimanendo ancorato alla norma e offrendo un modello anche di pronuncia che pochissime persone, anche colte, sono in grado di utilizzare; dall’altra le varietà regionali si presentano come elemento comico tipico del nuovo filone dalla commedia all’italiana, per poi affrancarsi da questo e affermarsi per la loro carica espressiva. In questo quindicennio, in cui l’italiano è sempre più diffuso e usato, a fianco del dialetto, il cinema può permettersi anche certi sperimentalismi linguistici come il famoso pastiche di italiano aulico, letterario e popolare de L’armata Brancaleone e Brancaleone alle crociate.
Brancaleone: Ah… la milza!
Teofilatto dei Leonzi: No, ivi ci sta lo fegato
Brancaleone: Ah si? Spesso mi dole.
(da L’armata Brancaleone, 1966)
Tra il 1975 e il 1990 la strada è già aperta per una varietà di generi, ciascuno con i propri mezzi linguistici e espressivi: la nuova commedia all’italiana continua con l’uso delle varietà regionali a scopo umoristico, mentre la lingua standard caratterizza i film di genere (poliziesco, erotico, horror, fantascienza). Verso la fine degli anni ’80 si afferma sempre di più la tendenza degli sceneggiatori a caratterizzare i personaggi anche sul piano linguistico in base al loro ceto sociale, alla loro provenienza geografica, alla loro cultura.
Dal 1990 a oggi il cinema italiano si fa davvero specchio della realtà, anche sul piano linguistico. Le sceneggiature sono sempre più realizzate imitando il parlato spontaneo contemporaneo, con tutte le sue caratteristiche neostandard (frasi scisse, dislocazioni, che polivalente, ecc.), come in questo esempio:
Carlo: Se la mamma ti vede ancora a letto fa un urlo che spacca i vetri… forza!
Paolo: Quand’è che la smetti di portarmi la colazione a letto la mattina…papà!?
(da Ricordati di me, 2003)
Si ampliano le varietà linguistiche dell’italiano contemporaneo utilizzate nei dialoghi: registri formali e informali, gerghi (della malavita, dei tossici, del carcere), linguaggi giovanili, linguaggi settoriali, italiano colloquiale (spesso caratterizzato da turpiloquio e da intercalari volgari). Regredisce l’italiano standard a vantaggio delle pronunce regionali e di macchie di colore dialettali con fini espressivi. Ma soprattutto si tende sempre più a offrire un’immagine anche cinematografica dell’Italia multietnica e plurilingue, così come si è andata configurando dalla fine del ventesimo secolo. Lo vediamo nei numerosi film e docufiction che hanno per tema il viaggio da e verso l’Italia o che rappresentano le comunità di origine straniera in Italia, come in questo esempio:
Nader: Non torno stasera ma’!
Madre: (in arabo) Sottotitoli italiani: Perché, dove vai?
Nader: (in arabo) Sottotitoli italiani: Dalla mia ragazza.
Madre: (in arabo) Sottotitoli italiani: La tua ragazza?
Nader: (in arabo) Sottotitoli italiani: Perché, non va bene se ho una ragazza?
Madre: (in arabo) Sottotitoli italiani: No non va bene.
Nader: Ma che vor di’? Che cazzo stai a di’?
(da Alì ha gli occhi azzurri, 2012)
Per approfondire
Diadori, Pierangela, Stefania Carpiceci & Giuseppe Caruso. 2020. Insegnare italiano L2 con il cinema. Roma: Carocci.
Patota, Giuseppe & Fabio Rossi (a cura di). 2017. L’italiano al cinema, l’italiano nel cinema. Firenze: Accademia della Crusca GoWare.
Raffaelli, Sergio. 2015. Parole di film. Studi cinematografici 1961-2010 (a cura di Massimo Fanfani). Firenze: Cesati.
Rossi, Fabio. 2007. Lingua italiana e cinema. Roma: Carocci.
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