Francesca Donazzan
Laureata all’Università Ca’ Foscari Venezia
Lewis Carroll, pur essendo uno degli scrittori per l’infanzia più conosciuti, è in realtà un autore che dissemina nelle sue opere questioni che possono essere apprezzate soltanto da un lettore adulto. La profondità dei temi anche di taglio filosofico che si rintraccia nella sua produzione ha suscitato notevole interesse sia da parte della critica (si citano solo, ad esempio, le analisi condotte da Martin Gardner e da Gilles Deleuze), sia da parte di scrittori come Joyce, Ionesco e Nabokov: una risonanza esegetica e letteraria che ha avuto il merito, appunto, di emancipare Carroll dal confinamento nel recinto della letteratura per l’infanzia.
Tutte le sue opere risultano stimolanti: sia le più famose, di stampo letterario, firmate come Lewis Carroll ossia, oltre ai due libri con Alice (Alice’s Adventures in Wonderland, del 1865, e Through the looking-glass, del 1871), The hunting of the snark e Sylvie and Bruno, sia gli scritti scientifico-matematici, firmati col nome vero, Charles Lutwidge Dodgson. Tra i due filoni non vi è una netta dicotomia, poiché nelle opere letterarie si ritrovano questioni di logica spacciate per bizzarrie dei personaggi; l’ironia e il Witz linguistico, poi, rendono piacevoli i testi scientifici anche a chi non è pratico di problemi matematici. Un punto di contatto tra le due anime si ha dunque nel linguaggio: Carroll gioca con la lingua, che scriva sillogismi o avventure di Alice.
In particolare, i due libri con Alice sono così godibili per un adulto perché Carroll qui sovverte tutti i paradigmi della realtà – i principi di identità e di non contraddizione, la logica, i concetti di tempo e di spazio. Alice, insomma, si trova a percorrere regni dominati dal paradosso, che per Deleuze è il “rovesciamento simultaneo del buon senso e del senso comune” (Logica del senso, pag. 95). Anche il linguaggio è coinvolto: esso viene continuamente manipolato per generare giochi di parole, addirittura manomesso mediante teorie linguistiche di cui la protagonista è ora autrice, ora vittima.
L’aspetto che conquista immediatamente il lettore è quello ludico: in ogni capitolo si trovano giochi linguistici che riguardano soprattutto il lessico, come neologismi, anagrammi e paretimologie. È interessante soffermarsi su come questi siano proposti all’interno delle opere: se, da un lato, Carroll si diverte a torcere la lingua grazie a una sensibilità spiccata verso i fatti linguistici, dall’altro i giochi sono spesso attribuiti a personaggi dalla competenza linguistica deficitaria o dallo stato mentale alterato, come il Cappellaio Matto (il feltro all’epoca veniva trattato col mercurio, le cui esalazioni provocavano intossicazione, allucinazioni e problemi mentali: da qui, il detto Mad as a hatter) o Bruno col suo linguaggio infantile, in Sylvie e Bruno.
I neologismi sono molto frequenti; in tutte le opere di Carroll ritorna in particolare un tipo di composto, cioè la portmanteau word (chiamata in italiano ora parola valigia, ora parola macedonia, ora parola baule): il portmanteau era una valigia formata da due parti separate, una delle quali entrava nell’altra, telescopicamente; così il composto da cui prende il nome è il risultato della fusione di due parole, come smog (smoke + fog). La definizione di tale composto viene fornita proprio da uno dei personaggi più interessanti, l’uovo Humpty Dumpty, nel capitolo forse più sovversivo di tutta la produzione carrolliana:
“«You see it’s like a portmanteau – there are two meanings packed up into one word.»” (Through the looking-glass, pag. 225).
“«È come un baule, capisci, ci sono due significati imballati dentro a un’unica parola».” (Attraverso lo specchio, pag. 221)
Le portmanteau si ritrovano anche in altre opere: ad esempio, fin dal titolo The hunting of the snark fa riferimento a un mostro orribile, lo snark appunto, somma di snake ‘serpente’ + shark ‘squalo’. Tuttavia, è nel primo capitolo di Attraverso lo specchio che si scatena la verve composizionale di Carroll, nel celebre Jabberwocky (‘Ciciarampa’), di cui si citano le prime strofe:
“ʼTwas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe:
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.
«Beware the Jabberwock, my son!
The jaws that bite, the claws that catch!
Beware the Jubjub bird, and shun
The frumious Bandersnatch!»” (Through the looking-glass, pag. 155)
“Era cerfuoso e i viviscidi tuoppi
Ghiarivan foracchiando nel pedano:
Stavano tutti mifri i vilosnuoppi,
Mentre squoltian i momi radi invano.
«Rifuggi il Ciciarampa, figliuol mio!
Ganascia sgramia e artiglio scorticante!
Sfuggi all’uccello Ciciacià, perdio.
Guardati dal Grafobrancio ch’è friumante!»” (Attraverso lo specchio, pag. 162)
Alcune neoformazioni del Jabberwocky sono spiegate più avanti proprio da Humpty Dumpty, oltre che nella prefazione a The hunting of the snark; qualche creazione, come ha evidenziato Gardner, è addirittura stata accolta dall’Oxford English Dictionary. Benché la presenza di molte portmanteau, soprattutto nelle prime strofe, renda il Jabberwocky il capolavoro del nonsense in inglese, Alice e il lettore riescono a pervenire a un senso globale della poesia (nonostante ammetta di aver capito poco, Alice afferma che “c’è qualcuno che ha ucciso qualcosa, questo è chiaro in ogni caso –ˮ (Attraverso lo specchio, pag. 164), grazie alla suggestione dei suoni e alla struttura sintattica chiara.
Le opere, come si diceva, sono disseminate di giochi di parole che le rendono gustose, specie se lette in lingua originale. Tuttavia, la scrittura di Carroll risulta più mordace quando egli si diverte a torcere la lingua fin dalle fondamenta, facendo saltare regole grammaticali e cardini della semantica. Ad Alice, già disorientata dalla perdita di riferimenti stabili, come la propria identità, vengono continuamente distrutti altri pilastri a cui nella realtà siamo abituati ad ancorarci, ossia quelli linguistici.
Il rapporto di Alice con gli altri personaggi è sempre di contrapposizione, quando si tratta di linguaggio: lei viene continuamente ripresa quando parla; se invece è lei a muovere obiezioni agli altri per il loro modo di esprimersi, questi le dimostrano come sia lei a sbagliare – le osservazioni che lei fa, infatti, hanno come presupposto sistemi validi nel mondo reale.
I personaggi innanzitutto tendono a rifiutare il significato figurale e i modi di dire, che vengono sempre interpretati in modo letterale:
“«They gave it me – for an un-birthday present.»
«I beg your pardon?» Alice said with a puzzled air.
«I’m not offended,» said Humpty Dumpty.
[…]
Only I don’t sing it,» he added, as an explanation.
«I see you don’t,» said Alice.
«If you can see whether I’m singing or not, you’ve sharper eyes than most,»” (Through the looking-glass, pag. 223 e 228)
“«Me la diedero come regalo di non-compleanno».
«Come, scusi?» fece Alice con un’aria perplessa.
«Non sono offeso» replicò Humpty Dumpty.
[…]
Solo che io non la canto» aggiunse, a mo’ di spiegazione.
«Lo vedo che non la canta» rispose Alice.
«Devi avere degli occhi ben aguzzi per vedere se canto o no»” (Attraverso lo specchio, pag. 218 e 222)
In un mondo dal senso capovolto, è ad Alice che vengono mosse critiche per la sua mancanza di logica: la bambina, frastornata per la contestazione continua di ciò che per lei è incontrovertibile, risponde spesso in modo piccato:
“«Take some more tea,» the March Hare said to Alice, very earnestly.
«I’ve had nothing yet,» Alice replied in an offended tone: «so I ca’n’t take more.»
«You mean you ca’n’t take less,» said the Hatter: «it’s very easy to take more than nothing».” (Alice’s Adventures in Wonderland, pag. 78)
“«Prendine un po’ di più» disse premuroso il Leprotto Marzolino rivolgendosi ad Alice, «di tè».
«Veramente non l’ho ancora preso per niente» rispose Alice con il tono di chi è offeso; «ragion per cui non posso prenderne di più».
«Vorrai dire che non puoi prenderne di meno» obiettò il Cappellaio, «prendere qualcosa di più che niente è facilissimo».” (Alice nel Paese delle Meraviglie, pag. 67)
La legittimità del pensiero logico viene messa in discussione definitivamente con il sovvertimento della semantica: il significato delle parole è arbitrario e controllato da chi comanda; il rapporto tra segno e referente genera continue incomprensioni.
In più passaggi di Attraverso lo specchio è presente il tema del nominare, cioè la questione sull’utilità dell’attribuzione di un nome a qualcosa: nel terzo capitolo, Alice sostiene che un nome non serve all’oggetto cui viene assegnato, bensì agli altri, a chi lo deve nominare, ponendo le basi della teoria per cui i nomi conferiscono potere a chi li usa; poco dopo, la bambina giunge nel bosco in cui nulla ha un nome, dove anche lei dimentica il proprio – divenendo vittima della sua stessa, pragmatica teoria – con il conseguente dilemma sull’identità.
Tuttavia, la vera autorità in materia di semantica è il già citato Humpty Dumpty, non soltanto perché sa spiegare il Jabberwocky. Egli innanzitutto si sofferma su ciò che un nome deve voler dire:
“«My name is Alice, but –»
«It’s a stupid name enough!» Humpty Dumpty interrupted impatiently. «What does it mean?»
«Must a name mean something?» Alice asked doubtfully.
«Of course it must,» Humpty Dumpty said with a short laugh: «my name means the shape I am – and a good handsome shape it is, too».” (Through the looking-glass, pag. 219)
“«Il mio nome è Alice, ma – ».
«Che nome stupido!» la interruppe Humpty Dumpty spazientito. «Che cosa significa?»
«Un nome deve avere un significato?» chiese Alice, dubbiosa.
«Certamente» rispose Humpty Dumpty con una risatina; «il mio nome significa la forma che ho – una gran bella forma, tra l’altro».” (Attraverso lo specchio, pag. 215)
(In effetti, Hump = gobba, Dumpy = tarchiato)
Poco dopo, egli dichiara che è lui a comandare le parole: può costringerle a significare quello che vuole – confermando dunque la teoria già abbozzata da Alice sull’interrelazione tra significato e potere. Humpty Dumpty è «il Donatore del senso che distrugge l’esercizio del senso comune» (Deleuze, Logica del senso, pag. 76); è evidente che, se portato all’estremo, tale principio conduce all’incomunicabilità:
“«I don’t know what you mean by ‘glory’,» Alice said.
Humpty Dumpty smiled contemptuously. «Of course you don’t – till I tell you. I meant ‘there’s a nice knock-down argument for you!’»
«But ‘glory’ doesn’t mean ‘a nice knock-down argument,’» Alice objected.
«When I use a word,» Humpty Dumpty said, in rather a scornful tone, «it means just what I choose it to mean – neither more nor less.»
«The question is,» said Alice, «whether you can make words mean so many different things.»
«The question is,» said Humpty Dumpty, «which is to be master – that’s all».” (Through the looking-glass, pag. 224)
“«Non capisco di che cosa devo gloriarmi» disse Alice.
Humpty Dumpty fece un sorriso sprezzante. «Non lo capisci, perché non te l’ho ancora spiegato. Vuol dire che è un argomento che ti stende a terra!»
«Ma ‘gloriarsi’ non vuol dire un ‘argomento che ti stende a terra’» obiettò Alice.
«Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty con un certo sdegno, «quella significa ciò che io voglio che significhi – né più né meno».
«La questione è» disse Alice, «se lei può costringere le parole a significare così tante cose diverse».
«La questione è» replicò Humpty Dumpty, «chi è che comanda – ecco tutto».” (Attraverso lo specchio, pag. 219)
I due passaggi appena citati mostrano come, contrariamente alla realtà, nel mondo di Humpty Dumpty i nomi propri hanno un significato, mentre alle parole comuni viene attribuito un significato in modo arbitrario da chi comanda.
Tale arbitrarietà concerne, ovviamente, anche la relazione tra cosa, significato e significante: il Cappellaio Matto rimprovera la bambina perché non distingue tra ciò che dice e ciò che intende dire – un appunto che ella si sentirà fare di nuovo nel libro successivo sia dall’uovo, sia dalla Regina Rossa.
Tuttavia, è nell’ultima parte di Attraverso lo specchio che la dissociazione viene portata all’estremo: nell’ottavo capitolo il Cavaliere bianco, controfigura di Carroll, così si accinge a cantare una canzone:
“The name of the song is called ‘Haddocks’ Eyes.’»
«Oh, that’s the name of the song, is it?» Alice said, trying to feel interested.
«No, you don’t understand,» the Knight said, looking a little vexed. «That’s what the name is called. The name really is ‘The Aged Aged Man.’»
«Then I ought to have said ‘That’s what the song is called’?» Alice corrected herself.
«No, you oughtn’t: that’s quite another thing! The song is called ‘Ways and Means’ but that’s only what it’s called, you know!»
«Well, what is the song, then?» said Alice, who was by this time completely bewildered.
«I was coming to that,» the Knight said. «The song really is ‘A-sitting on a Gate».” (Through the looking-glass, pag. 255-256)
“Il nome della canzone è Occhi di merluzzo».
«Ah, questo è il nome della canzone?» disse Alice, cercando di interessarsi.
«No, non hai capito» fece il Cavaliere, leggermente contrariato. «Quello è come viene chiamato il nome. Il nome in realtà è Un vecchio molto vecchio».
«Allora avrei dovuto dire ‘È così che viene chiamata la canzone’?» si corresse Alice.
«No, affatto: quella è tutta un’altra faccenda! La canzone è chiamata I mezzi e la maniera: ma questo è soltanto come viene chiamata, capisci!»
«Bene, e allora che cosa è la canzone?» disse Alice, che a questo punto era completamente frastornata.
«Ci stavo arrivando» rispose il Cavaliere. «La canzone in realtà è Su un cancello era seduto».” (Attraverso lo specchio, pag. 248)
La distinzione fra cosa, nome della cosa, nome del nome della cosa può evidentemente essere prolungata all’infinito, nel tentativo di risalire a un’impossibile arché del nome.
È questa l’estrema riflessione sul linguaggio presente nel libro: Alice subito dopo diventa regina e fa ritorno nella realtà.
Può dunque chiudersi qui l’articolo il cui titolo è chiamato La ludolinguistica sovversiva di Lewis Carroll, il cui nome è in realtà Il linguaggio nei mondi capovolti di Alice, altrimenti chiamato Giochi linguistici poco innocenti per bambini molto cresciuti.
Per approfondire
Carroll, Lewis. 2009. Alice nel Paese delle Meraviglie; Attraverso lo specchio. Milano: Garzanti.
Carroll, Lewis. 2001. The annotated Alice. The definitive edition, a c. e con note di Martin Gardner. Londra: Penguin.
Carroll, Lewis. 2008. La caccia allo snualo. Firenze: Barbes.
Carroll, Lewis. 1996. Sylvie e Bruno. Milano: Garzanti.
Deleuze, Gilles. 2006. Logica del senso. Milano: Feltrinelli.
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