Alessandro Puglisi
Università per Stranieri di Siena
Molti di noi sanno, anche solo seguendo il buon senso, di cosa si tratta quando leggiamo o ascoltiamo l’espressione ‘lingua naturale’. Una lingua naturale, come l’italiano o l’inglese o il francese, è parlata da una comunità linguistica e si è evoluta con l’evoluzione della comunità dei suoi parlanti. Tutti noi facciamo esperienza, ogni giorno, di una o più lingue naturali, nei contesti e per i fini più diversi.
Ma cos’è, invece, una lingua artificiale?
Nel volume Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie di Paolo Albani e Berlinghiero Buonarroti si legge che una lingua artificiale è una lingua costruita utilizzando una serie di convenzioni, tanto nelle regole quanto nelle parole che la costituiscono.
La domanda è: come nasce l’esigenza di creare lingue artificiali?
Per rispondere dobbiamo fare un grande passo indietro, fino al racconto contenuto nella Genesi in cui, ai versetti 1-9 dell’undicesimo capitolo, si narra di un’unica lingua parlata su tutta la Terra e del tentativo degli uomini di costruire una torre così alta da penetrare il cielo; tentativo che suscita le ire del Signore, il quale disperde gli esseri umani e confonde le loro lingue. Da questa narrazione biblica prende le mosse il cosiddetto babelismo, come teoria giudaico-cristiana che attraversa la storia del pensiero linguistico anche facendo riferimento alla ‘lingua originaria’ o ‘lingua primigenia’. Essa sarebbe stata la lingua perfetta parlata da Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre, una lingua in cui le parole rappresentavano in maniera puntuale il mondo reale. Detto altrimenti, la lingua adamica, essendo fatta dalle parole che costituivano i nomi veri, originari, di tutte le cose, sarebbe stata la lingua che avrebbe garantito la sapienza universale.
Nel momento in cui questa tensione verso la conoscenza totale viene bruscamente stroncata nell’episodio di Babele, la missione deve essere quella di ritrovare la lingua originaria, anche attraverso la costruzione di nuove lingue universali o, con una locuzione più recente e legata alla necessità di interazioni sociali e comunicative su scala planetaria, lingue ausiliarie internazionali.
In tal senso, i progetti legati alla creazione di lingue universali sono innumerevoli e per lo più databili a partire dal XVII secolo. Il Seicento, in tal senso, è infatti un secolo di enorme fioritura. Si va da Cartesio, interessato alle questioni della lingua universale già negli anni Venti del secolo, a Comenio, ispiratore dei principi della lingua “ideale”, dal vescovo John Wilkins a George Dalgarno, fino a Leibniz con la sua lingua caratteristica e alla fondamentale Grammatica di Port-Royal.
Le lingue universali sono però solo un sottoinsieme delle lingue artificiali cioè, per tornare al nostro punto di partenza, tutte quelle lingue costruite attraverso una serie di convenzioni. Una classificazione di tutte le tipologie di lingua artificiale è molto complessa. Una prima distinzione necessaria è però quella tra lingue artificiali a priori, costruite da zero, o quasi, e a posteriori, vale a dire create a partire da lingue naturali già esistenti.
Possiamo dire, poi, che esistono lingue artificiali a scopo di comunicazione sociale e lingue artificiali a scopo espressivo o ludico. Tra queste ultime, un ruolo fondamentale è rivestito dalle lingue artistico-letterarie, presenti nelle opere d’arte, dalla letteratura alle arti visive, dal cinema alla musica.
Fra le lingue artificiali create per scopo di comunicazione sociale, rientrano, invece, oltre alle lingue ausiliarie internazionali, i linguaggi ibridi, i gerghi, le crittografie e i linguaggi logico-matematici. Questi ultimi, nella declinazione dei linguaggi formali, ci interessano più da vicino.
Cosa è, perciò, un linguaggio formale?
Un linguaggio formale è costituito da una serie di stringhe a partire da un dato alfabeto, e presenta una forma delle frasi, cioè una sintassi, e il loro significato, vale a dire la semantica, in maniera puntuale e non suscettibile di ambiguità. In relazione a un linguaggio formale, è sempre possibile mettere a punto un algoritmo che verifichi la correttezza grammaticale delle frasi e ne tragga il loro significato.
I linguaggi di programmazione rappresentano una tipologia specifica di linguaggio formale. Essi hanno lo scopo di far comunicare uomini e calcolatori, o anche calcolatori tra di loro, senza ambiguità. Si tratta, dunque, di lingue artificiali digitali che, se in origine consentivano ‘solamente’ a un essere umano di far svolgere compiti, anche complessi, a un calcolatore attraverso una serie di istruzioni, già da qualche anno consentono al calcolatore stesso di imparare, aprendo l’orizzonte del cosiddetto machine learning. Da quanto abbiamo detto, i linguaggi di programmazione sono perciò linguaggi che non dovrebbero lasciare nessuno spazio all’ambiguità e, di conseguenza, nemmeno alla creatività linguistica.
E invece, sorprendentemente, ma neanche troppo, linguaggi di programmazione e creatività hanno molto in comune.
Una volta veniva chiamato ‘listato’, oggi è di solito detto ‘codice sorgente’ – dall’inglese source code – e rappresenta, in generale, l’insieme delle istruzioni fornite a un calcolatore attraverso un linguaggio di programmazione. Il codice sorgente è un testo, perché del testo presenta sia i requisiti formali, coesione e coerenza, che quelli pragmatici, cioè intenzionalità, accettabilità, informatività, situazionalità e intertestualità. Per questo motivo, non dovremmo essere stupiti nell’apprendere che pure i linguaggi di programmazione vanno incontro a musealizzazione, come nella mostra CODeDOC o nell’iniziativa Codexpo, una ‘esposizione’ dedicata proprio al codice sorgente.
Nei testi ‘tradizionali’, come sappiamo, le regole vengono spesso sovvertite a scopo espressivo, e ciò accade pure nella programmazione, con i linguaggi di programmazione esoterici. Siamo di fronte a linguaggi volutamente ambigui, controintuitivi, ostici da utilizzare, che violano uno o più requisiti testuali, per lo più a fini artistici o goliardici. Vi sono molti esempi in merito, tra cui Brainf***, che usa solo otto simboli e nessuna lettera per costruire le istruzioni, o LOLCODE, plasmato sul lolspeak, una sorta di inglese intenzionalmente poco corretto utilizzato su Internet nei meme legati ai gatti; oppure i linguaggi esoterici di David Morgan-Mar, fra i quali Piet, ispirato al pittore olandese Mondrian, o addirittura Whenever, in cui le istruzioni non vengono eseguite nell’ordine in cui sono scritte. In quest’ultimo caso, viene sovvertito persino il concetto di linearità, che prendiamo qui in prestito dalla riflessione di de Saussure. Un esempio estremo è rappresentato da Malbolge, linguaggio così complesso e oscuro da essere quasi inutilizzabile.
Un’ultima annotazione va fatta il cosiddetto creative coding. Si tratta dell’uso di linguaggi di programmazione a fini espressivi anziché funzionali. In altre parole, si utilizza la programmazione per generare disegni, illustrazioni, video, composizioni sonore e persino combinazioni di tutti questi elementi. Un esempio ormai classico, in questo campo, è costituito da Processing, linguaggio gratuito e open source pensato espressamente per le arti visuali. In sostanza, una lingua artificiale digitale, con una sintassi e una semantica proprie, viene utilizzata per costruire un testo verbale scritto che genera un’opera d’arte visiva.
Nel breve viaggio che abbiamo compiuto, sono passati sotto i nostri occhi secoli di storia, e abbiamo seguito gli indici di una tensione continua verso la creazione di linguaggi universali, come per sfuggire alla maledizione babelica inflitta all’umanità; così siamo arrivati alla contemporaneità, per scoprire che anche in quei linguaggi che presentano, potremmo dire, tracce di universalità, anche in essi si annida il magnifico germe dello spirito creativo.
Per approfondire
Albani, Paolo & Berlinghiero Buonarroti. 1994. Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie. Bologna: Zanichelli.
Marrone, Caterina. 2004. Le lingue utopiche. Viterbo: Nuovi Equilibri.
Peterson, David J. 2015. The Art of Language Invention. From Horse-Lords to Dark Elves, the Words Behind World-Building. New York: Penguin.
Penge, Stefano. 2018. Lingua, coding e creatività. Fare coding con le materie umanistiche. Roma: Anicia.
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