Virginia Volterra
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, CNR
A fondo pagina è disponibile il video con la traduzione dell'articolo in LIS, a cura di "Accademia della S-Crusca Lingua dei Segni Italiana - LIS"
I miti da sfatare relativi alla lingua dei segni, o meglio alle lingue dei segni, sono moltissimi e malgrado ormai la descrizione di queste lingue sia diventata a pieno titolo oggetto di studio della linguistica, e la loro esistenza sia resa continuamente visibile dagli interpreti nei discorsi ufficiali trasmessi dalle televisioni di tutto il mondo, permangono pregiudizi in ampi strati della società che sembrano inestirpabili.
Il primo e più forte mito da sfatare è che la facoltà di linguaggio che caratterizza la specie umana si manifesta solo attraverso l’udito e la voce. Come già avevano osservato il linguista americano William Dwight Whitney e il ginevrino Ferdinand de Saussure, l’audio-oralità non è essenziale per una lingua.
In realtà tutti gli esseri umani comunicano non solo con la voce ma con tutto il proprio corpo (mani, espressioni facciali, sguardi) e anche i bambini, prima di acquisire la lingua, comunicano più con i gesti che con le parole. Le persone sorde, per le quali l’acquisizione della lingua vocale non è un processo spontaneo e naturale come per le persone udenti, hanno da sempre sfruttato questa modalità visivo-corporea per comunicare sia con gli udenti, sia con altri sordi. Da questa esigenza di comunicare sono nate le lingue dei segni che sono lingue storico-naturali come le lingue parlate.
Un’altra credenza da sfatare è che esista un’unica lingua dei segni universale: le lingue dei segni nel mondo sono tante quante sono le comunità di coloro che le usano (attualmente Ethnologue ne elenca 144); ognuna viene creata ed evolve grazie alla comunità dei suoi utenti ed è profondamente ancorata alla loro cultura. Fin dall’antichità abbiamo notizia che le persone sorde comunicavano con i segni, e nel corso dei secoli gesti e segni hanno destato l’interesse di filosofi, scienziati ed educatori, ma è difficile documentare l’uso di queste lingue nel passato e ricostruirne l’evoluzione perché sono lingue che, come la maggior parte delle lingue del mondo, non hanno una forma scritta. Solo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso grazie alla prima descrizione su base linguistica fornita da William Stokoe per la lingua dei segni americana (ASL), le lingue dei segni hanno cominciato a essere studiate e sistematicamente descritte in tutto il mondo. Soltanto negli anni Ottanta sono iniziate, presso l’Istituto di Psicologia del CNR (oggi Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione), le prime ricerche linguistiche sulla lingua dei segni utilizzata nel nostro Paese, da allora denominata Lingua dei Segni Italiana (LIS). A quell’epoca la forma di comunicazione usata dai sordi in Italia non aveva neppure un nome: veniva genericamente indicata come mimica, linguaggio dei gesti o linguaggio mimico gestuale. Era quindi importante dimostrare che si trattava di una lingua vera e propria con caratteristiche analoghe a quelle delle lingue vocali.
All’inizio, il modello linguistico adottato è stato di chiaro stampo strutturalista, con l’obiettivo di fornire una descrizione dei vari livelli, ‘fonologico’, lessicale e sintattico e individuare analogie con le descrizioni delle lingue vocali. Ciascun segno veniva analizzato sulla base di quattro parametri: configurazione e orientamento della mano, luogo di esecuzione e movimento. Si cercava di assimilare la lingua dei segni alle lingue vocali e scritte maggiormente studiate. Ad esempio nella LIS, come in altre lingue dei segni, il singolo segno è stato descritto sulla base di parametri manuali (i cheremi, considerati analoghi ai fonemi delle lingue vocali) e con la pubblicazione dei primi dizionari sono state fornite liste di segni, basate per lo più sull’ordine alfabetico delle parole delle lingue vocali. Erano strumenti utilizzati soprattutto da logopedisti e insegnanti interessati a utilizzare questa lingua anche nell’insegnamento dell’italiano ai bambini sordi. Si tendeva inoltre a rintracciare nella LIS regole morfologiche (formazione del plurale, distinzione nome-verbo) e sintattiche (produzione di frasi dichiarative, interrogative o negative) analoghe a quelle delle lingue vocali maggiormente studiate, adottando una prospettiva oggi definita assimilazionista.
Negli ultimi venti anni la situazione è mutata e oggi si tende a descrivere la LIS sulla base di teorie linguistiche diverse, ad esempio nell’ambito di approcci di matrice generativista o cognitiva e sociosemiotica. Mentre la prima prospettiva tende a dare maggiore rilevanza agli aspetti formali, fonologici, grammaticali e sintattici, la seconda dà molta più importanza agli aspetti iconici, che rimanderebbero in modo diretto ai referenti di cui si parla, e alle altre peculiarità proprie delle lingue dei segni, sottolineando l’importanza della semantica e delle funzioni comunicative. Sono proprio queste proprietà semiotiche e strutturali peculiari delle lingue dei segni che oggi contribuiscono al dibattito e all’avanzamento delle conoscenze nella descrizione di aspetti analoghi presenti nelle lingue vocali che nel passato erano stati trascurati e solo recentemente riconosciuti e valorizzati.
Lo schema che segue è un tentativo di riassumere questo cambiamento di prospettiva:
Figura 1. Schema sul mutamento di prospettiva nel rapporto tra lingue segnate e lingue parlate (tratta da Volterra et al. 2019)
Gli aspetti fondamentali e le novità della nuova descrizione della LIS possono essere riassunti nei seguenti cinque punti.
a) Mentre nel passato si tendeva a marcare una netta distinzione tra gesti e segni, oggi si sottolinea l’esistenza di una forte continuità tra azioni, gesti, parole e segni: lo stretto rapporto tra le azioni/gesti eseguiti dai bambini e le prime parole comprese e prodotte è ormai ampiamente dimostrato e inoltre le stesse componenti di base e le stesse strategie rappresentative sottostanno ai processi di formazione di gesti e segni. I processi e le tappe di acquisizione di una lingua parlata o segnata presentano molte analogie.
b) Non solo le mani vanno considerate come componenti fondamentali, ma anche altre parti del corpo (i movimenti del busto, le espressioni facciali, la direzione dello sguardo e le componenti labiali). Questi elementi non sono da considerare semplicemente paralinguistici o di accompagnamento, ma rivestono la stessa importanza delle componenti manuali, allo stesso modo in cui nelle lingue parlate tratti prosodici ed elementi gestuali cominciano oggi ad essere considerati fenomeni linguistici a tutti gli effetti. La ‘multimodalità’ è dunque una caratteristica di tutte le lingue parlate e segnate.
c) All’inizio delle ricerche sulle lingue dei segni, pur riconoscendo che gli aspetti iconici erano pervasivi, si tentava in qualche modo di minimizzarli e considerarli non propriamente linguistici. Lo sforzo era rivolto a sottolineare la presenza dell’arbitrarietà, ad esempio si sosteneva che i cheremi fossero unità distintive, prive di significato, come i fonemi. Nella prospettiva attuale si è pronti a riconoscere che l’iconicità è pervasiva nella LIS, sia nel lessico sia a livello dell’enunciato. La presenza e l’importanza di fenomeni iconici è ormai riconosciuta non solo nelle lingue dei segni ma anche nelle lingue parlate, e gli stessi meccanismi di significazione valgono per entrambe le modalità espressive. Tutti gli esseri umani possono infatti esprimersi attraverso l’indicare (pointing), con cui è possibile collocare nello spazio un determinato referente, il dire/nominare (describing) che permette di definire e descrivere i significati; il mostrare/illustrare (depicting) con cui è possibile mostrare direttamente ciò di cui si parla (Volterra et al. 2019; Cuxac 2000).
d) Le lingue utilizzate nel mondo funzionano in maniera diversa e non tutte le categorie semantico-grammaticali che valgono per la descrizione di una lingua possono funzionare per la descrizione di un’altra. Un singolo segno in LIS può rappresentare più elementi contemporaneamente, ovvero indicare l’agente, l’azione e l’oggetto dell’evento, così come avviene in lingue parlate tipologicamente molto distanti dall’italiano. Nella frase LIS qui riportata ci sono un bambino e un cappello e l’ultimo segno indica in maniera simultanea un adulto che sta mettendo con forza il cappello sulla testa del bambino (Rinaldi et al. 2018):
Le lingue sia parlate sia segnate possono includere unità linguistiche i cui confini sono gradienti e variabili ma pur sempre presenti perché la variazione è limitata dalla necessità della comprensibilità del contenuto dell’evento comunicativo, sia esso parlato o segnato.
e) la lingua non si modifica sulla base di interventi esterni, ma sono in primo luogo gli stessi parlanti, in questo caso la comunità dei segnanti, che determinano, per lo più inconsciamente, il corso dei mutamenti più rilevanti. La descrizione della LIS non può prescindere dalla descrizione delle caratteristiche della comunità che la utilizza e ne determina norme e mutamenti, tenendo anche conto delle fluttuazioni che da sempre caratterizzano gli usi orali (faccia a faccia) di una lingua.
Come possiamo vedere questi aspetti riguardano non solo le lingue dei segni ma tutte le lingue e ci aiutano a sfatare molti miti. Uno soprattutto: tutti gli esseri umani nascono con una predisposizione ad imparare una lingua (o più lingue) che non è necessariamente una lingua parlata, ma può essere anche una lingua dei segni. La facoltà di linguaggio può realizzarsi sia nella modalità acustico vocale che in quella visivo gestuale e tutto dipende dalla comunità che ci alleva e nella quale cresciamo e quindi dalle lingue a cui siamo esposti fin dalla nascita.
Per approfondire
Cardinaletti, Anna, Carlo Cecchetto & Caterina Donati (a cura di). 2011. Grammatica, lessico e dimensioni di variazione nella LIS. Milano: FrancoAngeli.
Di Renzo, Alessio & Virginia Volterra. 2017. Altre voci. Le lingue dei segni tra passato e presente. In Francesca Masini & Nicola Grandi (a cura di), Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue, 121-124. Bologna: Caissa Italia.
Pizzuto, Elena. 2002. La LIS dopo venti anni di ricerche: conoscenze acquisite e problemi aperti in una prospettiva comparativa interlinguistica. In M. Elena Favilla (a cura di), Comunicazione e sordità, 17-31. Pisa: Edizioni Plus.
Rinaldi, Pasquale, Maria Cristina Caselli, Tommaso Lucioli, Luca Lamano & Virginia Volterra. 2018. Sign language skills assessed through a sentence reproduction task. The Journal of Deaf Studies and Deaf Education 23(4). 408-421.
Volterra, Virginia (a cura di). 1987. La lingua italiana dei segni. Bologna: il Mulino [n. ed. La lingua dei segni italiana, Bologna, il Mulino 2004].
Volterra, Virginia, Maria Roccaforte, Alessio Di Renzo & Sabina Fontana. 2019. Descrivere la lingua dei segni italiana. Una prospettiva cognitiva e sociosemiotica. Bologna: il Mulino.
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